Inizio e sviluppo dei Disability Studies Italy 2000 – 2010

Siamo all’inizio del 2000 e un esiguo gruppo di studio e di ricerca dell’ Università di Bergamo (Scienze dell’educazione) approfondisce la prospettiva dell’integrazione italiana come paradigma. Le leggi, i testi e le pratiche scolastiche, definite come percorsi di integrazione, confermano la disabilità come deficit interno alla persona tramite l’assunzione della cultura bio-medico individuale. In questo clima culturale, la definizione e la condizione della disabilità è scontata, non interpellata: da qui l’interrogativo Quale disabilità? con l’intento di aprire una riflessione per decostruire il concetto di disabilità.  L’approfondimento del tema incontra, così, la prospettiva dei Disability Studies i quali mettono in discussione la radice bio-medica della disabilità, orientando le riflessioni agli ostacoli culturali e sociali come causa della disabilitazione.  Nel percorso di studio e di ricerca i temi delle differenze, abilismodisabilità, inclusione assumono centralità; non limitati alla scuola, ma orientati anche alla cultura, alle politiche, al sociale e ai servizi che vengono evidenziate da numerose pubblicazioni.

Il gruppo composto da Roberto Medeghini, Enrico Valtellina, Giuseppe Vadalà e Walter Fornasa consolida via, via la prospettiva dell’inclusione. Verso il 2008 il gruppo incontra  Simona d’Alessio che le è stato conferito il dottorato di ricerca in Inclusive Education con la  supervisione di Len Barton.

Questo contatto permette al gruppo di confrontarsi e acquisire ulteriori temi da approfondire tramite il primo Convegno Internazionale sull’educazione inclusiva. Il convegno Internazionale sull’Educazione Inclusiva (febbraio 2009 presso l’Università degli studi di Bergamo) ha segnato il primo confronto pubblico tra la prospettiva inclusiva e il tradizionale approccio integrativo che, dalla 517 alla 104 e fino ad oggi, ha ispirato le riflessioni nell’area della disabilità. Gli interventi del Convegno  hanno trovato un terreno comune sul quale condividere una prospettiva inclusiva che veniva proposta già da diverso tempo: verso gli anni 60/70 nell’area inglese e statunitense e inizio 2000 in Italia ad opera di pochi ricercatori che poi formerà il gruppo GRIDS (Gruppo di Ricerca Inclusione e Disability Studies). Il confronto con studiosi dell’Europa ( F. Armstrong,  L. Barton, R. Astl) ha confermato e rilanciato di  superare le  epistemologie, teorie e linguaggi integrativi che, fondandosi sul concetto di abilità, interpretavano e Interpretano le differenze in termini di deficit, di mancanze  e di bisogni.  


Oltre la differenza semantica.
Riflessioni e note a margine del Convegno sull’Educazione Inclusiva

Giuseppe Vadalà
Dottorato di Scienze Pedagogiche – Università degli Studi di Bergamo (2009)

Le parole, come si sa, non esprimono solo significati (spesso impliciti), esse presuppongono epistemologie e costruiscono senso: questo è il caso di «integrazione» e di «inclusione», come di «inserimento» e di «bisogni educativi speciali»; termini, questi, che sono spesso utilizzati e che sono stati al centro del convegno tenutosi a Bergamo il 27 febbraio 2009. In questa sede il dibattito non ha però avuto l’obiettivo di idealizzare o contrapporre un termine o una teoria ad altre, bensì è stata l’occasione per proporre riflessioni, per evidenziare gli sviluppi e i presupposti teorici (peraltro anche di diversa matrice) che connotano l’approccio inclusivo alle differenze e alla cittadinanza e per sollecitare a dichiarare da quale prospettiva si stava parlando. Prospettiva, questa, essenziale per un confronto che voleva e vuole rifuggire da semplificazioni, riduzioni e affermazioni scarsamente fondate, figlie del senso comune. L’interrogativo da cui è scaturito il convegno è se le idee attuali di «integrazione», di «integrazioni» e di «bisogni educativi speciali» siano in grado di raccogliere domande (e non tanto bisogni) di cambiamento e di nuove prospettive che costruiscano un senso altro dei sistemi educativi; questo in una realtà storica «di crisi» in cui le differenze, tutte le differenze, non solo giocano un ruolo spesso marginale, ma vengono anche marginalizzate da processi di «razionalizzazione» educativa. Su questo tema i diversi interventi, pur partendo da traiettorie culturali, teoriche e sociali di differente provenienza, hanno trovato un terreno comune sul quale condividere una prospettiva inclusiva e, cioè, la necessità di rivedere e superare le attuali epistemologie e teorie che, avendo come riferimento il concetto di «abilità», definiscono le «differenze» in termini di «deficit», «mancanza» e «bisogno». L’idea di inclusione che ne consegue è quella di un processo in continua costruzione che non si riduce a stati fuori norma o mancanti da integrare (l’espressione «integrazione scolastica degli alunni con disabilità» ne è l’esempio); si rivolge invece a «tutti», comprendendo sia l’epistemologia delle differenze come visioni di senso, di modi e di stili che le persone utilizzano per costruire interazioni, sia quelle di disabilitazioni e di ostacoli, come prodotti del sociale e dei contesti anche scolastici, che impediscono o rendono difficoltose la partecipazione, la cittadinanza, l’educazione, la formazione e l’apprendimento. In questa visione, i contributi del Convegno hanno delineato gli aspetti critici e reso visibile il terreno epistemologico su cui si muove l’Inclusione e sul quale tende a confrontarsi con altri approcci: il peso della variabile sociale e contestuale e la loro possibilità di essere disabilitanti o inclusive assieme alla decostruzione dell’idea «abilista» (il modello sociale di Barton, Armstrong: il modello sociale della disabilità nasce intorno agli anni ‘60 e ‘70 in Inghilterra. Concettualizzato per la prima volta da Paul Hunt nel 1960, venne poi sviluppato da Vic Finkelstein e altri attivisti disabili del movimento dello UPIAS,Union of the Physically Impaired Against Segregation. Il processo di teorizzazione prosegue poi ad opera di accademici, molti dei quali disabili, tra i quali Mike Oliver, Colin Barnes e Len Barton); il sistema dei significati e delle opzioni che ogni persona introduce nelle esperienze (il tema identitario e della fragilità proposto da Lizzola); l’immersione nelle interazioni e nelle interdipendenze fra sistemi (persone, gruppi, territori, città, istituzioni) fra le loro culture e storie per individuare i vincoli disabilitanti e le possibilità inclusive delle interazioni (l’ecologia delle relazioni di Medeghini e Fornasa); i riferimenti al processo di cambiamento culturale come presupposto inclusivo (D’Alessio); il tema dei diritti e della cittadinanza (Gandolfi); la contraddizione fra la selezione scolastica e i processi di inclusione (Astl); il ruolo giocato dalle epistemologie e dalle pratiche degli insegnanti e dell’organizzazione scolastica nella costruzione dell’idea di «disabilità» (lo sfondo delle rappresentazioni sociali delineato dalla ricerca di Vadalà); lo scoglio semantico, fra deficit e cultura disabilitante, nelle definizioni della disabilità (Albrigoni). Come si può osservare il tema delle differenze (il senso che viene loro attribuito, i modi di leggerle e di affrontarle) e il ruolo causale dei contesti e del sociale diventano centrali nel dibattito tanto da rappresentare il nodo problematico dell’attuale legislazione scolastica e, di conseguenza, lo spartiacque culturale ed epistemologico fra Integrazione e Inclusione. Ricostruire criticamente questi sfondi diventa un’operazione essenziale data l’esigenza di una prospettiva culturale capace di togliere il tema della disabilità e con esso quello di integrazione da ciò che si può definire un generale indifferenziato concettuale; indifferenziato che si manifesta nel momento in cui si assumono i concetti di disabilità e di integrazione come elementi non problematici in sé, orfani o privi di teorie di riferimento proprie, connotati semplicemente da prospettive legislative o dai soli metodi operativi in un’ottica del semplice e unilineare adattamento.

Alcune riflessioni conclusive

Riprendendo le relazioni che hanno caratterizzato il Convegno Internazionale sull’Educazione Inclusiva vale la pena sottolineare come il dibattito abbia cercato di decostruire il modello dominante «abilista» sia nella sua relazione con una presunta neutralità dei contesti educativi e di apprendimento che con l’idea di solitudini individuali all’interno del deficit che caratterizzerebbero i relativi processi. Gli ambienti pedagogici, infatti, si costruiscono attorno ai due presupposti ora citati: nel primo caso siamo di fronte ad un paradigma che presuppone l’abilità come proprietà ideale di ciascuno nelle diverse culture, idee e relazioni che lo caratterizzano. La costruzione e la connotazione dei contesti, quindi, poggia e agisce sulla marginalizzazione nei confronti di chi mostra abilità differenti dalla norma (concetto strutturante di giudizi e valutazioni), oltre che perpetuare disuguaglianza. I contesti, nell’immaginario organizzativo pedagogico, risultano così spogliati dal loro ruolo causale nella costruzione delle relazioni, dei loro significati e delle loro interpretazioni e valutazioni; al contesto (ambiente relazionale oltre che fisico) viene infatti attribuita una presunta neutralità in cui la condizione della persona è isolata dalle relazioni che ne generano la marginalizzazione e la solitudine. L’idea di differenza che trova spazio nell’approccio inclusivo assume un significato radicalmente diverso rispetto all’approccio integrativo: nel primo caso la piena cittadinanza della differenza sancisce la genesi di un processo che prevede la partecipazione di tutti alla costruzione identitaria del contesto. Nel secondo caso, invece, risalta un processo fondato sul principio di adattamento che spesso si traduce nella fatica di un’istituzione a modificarsi e che, per questo, utilizza le risorse per mantenersi uguale a se stessa. E ancora: nel primo caso è lo spazio potenziale riconosciuto alle «abilità differenti» a reclamare processi culturali e pedagogici di ri-conoscenza e cittadinanza nell’organizzazione scolastica e nei processi di insegnamento-apprendimento. Nel secondo caso, invece, il tentativo di integrare le differenze, perseguendo l’ideale di uomo normo-abile, sposa un modello abile e normale a cui necessariamente far tendere le diverse persone. Come si può osservare il modello orientativo dell’approccio inclusivo «si fonda sulla relazione fra il sociale e la prospettiva esperienziale delle persone con disabilità […] che vivono quotidianamente attraverso il proprio corpo, la propria mente e le proprie emozioni le pratiche di gestione culturale e istituzionale della condizione disabile. Il tema che pone l’inclusione è il superamento della concezione abilistica che ispira le visioni deficitarie per collocare le riflessioni e l’azione all’interno del concetto inclusivo delle abilità differenti …».




Gli approfondimenti sollecitano il confronto con gli studi e le ricerche internazionali attraverso la presenza in Conferenze e Congressi.

2010– Medeghini R., Fornasa W., & Vadalà G.: Inclusion scolaire. Relazione presentata il 16 giugno 2010 nella sessione tematica “Demystifying Quality in Education”. Congress of WCCES “Bordering, re-bordering and new possibilities in education and society – Istanbul

Abstract: Inclusion scolaire

Les réflexions à propos des systèmes d’intégration scolaire ont concentré leur attention sur la qualité, c’est à dire sur les aspects importants pour marquer le niveau et la signification d’une expérience scolaire. La perspective de l’intégration est certainement plus avancée que celle de l’insertion, mais les deux s’adressent à les conditions déficitaire décrites par les besoins éducatifs spéciaux et les formes de rationalisation du système scolaire (ressources, procédures, structures). La perspective de l’inclusion est fortement différente de ces deux points de vue: elle ne partage pas une idée déficitaire des “différences” comme caractéristique de l’individu, mais elle souligne le potentiel rôle “handicappant” du contexte et des institutions; il s’agit d’un rôle qui peut provoquer l’exclusion du parcours éducatif et formatif de tous les élèves, et pas seulement ceux ayant des besoins éducatifs spéciaux. L’analyse de la qualité de l’expérience éducative et scolastique, et le choix des indicateurs ne sont pas donc des opérations neutres, mais elles sont inspirées par des théories et des visions de l’éducation.

C’est pour cette raison-là que la comparaison cherchera à expliciter le cadre théorique à travers l’analyse des conclusions du Forum mondial sur l’éducation de l’UNESCO et les mises à jour de l’année 2005, les travaux européens, avec la Déclaration de Madrid en 2002, les principes directeurs sur l’intégration scolaire et sur l’évaluation inclusive de l’Agence Européenne et l’Index for Inclusion, les contributions italiennes, avec la recherche INVALSI en 2005/2006 sur l’intégration scolaire des élèves handicapés, le projet I-CARE du Ministère de l’Éducation et le QUAIS (Questionnaire pour l’Autoévaluation Scolaire, Medeghini, 2009).

2010 – Medeghini R., Fornasa W.,Vadalà G.: Representations of disability. School and its cultural effects.  1ST International Conference on Technology Enhanced Learning, Quality of Teaching and Reforming of Education “TECH-EDUCATION 2010” – Atene

Abstract: Representations of disability. School and its cultural effects.

In this paper we investigate integration’s effect in Italian school context, through student’s memories about their school experience.
The focus of this research is upon social representations (Moscovici, 1984) from a socio- constructionist perspective that allows to put and to study social representations in the circuit of culture (du Gay, Hall, Janes, Mackay, & Negus, 1997) and to find their production in discourses(Foucault, 1969). The matter of this paper is the concept of disability as practices network that disables a human being, before she/he could be a person and a node of relations.

A qualitative analysis of 50 interviewed freshman of the University of Bergamo has highlighted a categorisation of the difference as a lack, as a shortcoming, as a distance from the norm (Foucault, 1975). This distance must be healed through some practices (in which educational organisation plays a specific role) which, indeed, strengthen original positions, which offer a ground for stereotypes and which coincide with a different disposition (Bourdieu, 1979) in social context.
This strategy, at school, is translated in discoursive practices, through which disabled and non- disabled people suffer a placement of their citizenship. School practices produce awareness, normality and normalizations (Foucault, 1975) which set a “sanction boundary line” of difference, that could be problem or resource, disability or ability, pathology or normality (Canguilhem, 1966). The discourse in educational organization produces therefore a system of knowledge and representations which ratify a “problem”, an “homogenous difference” that sets an exclusion from social and cultural (and educational) contexts.

2010” Medeghini R., Fornasa W, Vadalà G, Vavassori M.V. “Disabling cartoons? The role of cartoons in the representation of disability.  Metropolitan University in conjunction with BBC Northwest and the Cultural Disability Studies Research Network, Manchester

Abstract

The focus of this research is upon the representation of disability in 70 cartoons of some of the most important movie production companies like Disney, DreamWorks, Warner Bros, 20th Century Fox, from 2004 till now.
Research has attempted to investigate the presence of disabled people in cartoons. Cartoons are a sort of cultural instrument that allows children to share information and knowledge in their discourses. The focus of research is how cartoons message conveys image of disabled people and how this image manages to produce meanings (Hall, 1997) in regard to disability condition, especially in an age group very sensitive and conditioned by messages of powerful medium such as cartoons. The first step of this research has been to check disabled people presence in cartoons. In a second moment we have observed:
– type of disability,
– the role of disabled people in films and the relations with the other characters,

-how all characters relate with disabled,
– life contexts.
An other aim of this research has been to evaluate if those films reproduce social representations (Moscovici, 1984 ) and stereotypes of disabled people we have in society.
The cartoons we have analyzed, although encouraging the acceptance of diversity and a negative connotation of the villains and the overbearing which exclude the weakest, showed a substantial avoidance of disability especially in Disney and DreamWorks.
The cartoons show also a standardizing plot, in which often (physical) disability emphasizes a character’s wickedness.