Welfare e Servizi

Introduzione al libro “Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi

Medeghini R. (2013), Erickson

Libro promosso da ANFFAS LOMBARDIA ONLUS e ANFFAS ONLUS

Il mondo dei servizi per la disabilità rappresenta per la prospettiva inclusiva un contesto di frontiera con cui confrontarsi e misurarsi; un contesto ricco di esperienze e, allo stesso tempo, di contraddizioni, che si trova inserito fra processi di controllo e di regolazione sociale come viene richiesto dalle diverse norme legislative sui servizi per la disabilità e la tensione educativa che resiste a tale visione.   Infatti, l’assunzione della prospettiva inclusiva supera l’ottica normativa, cioè il riferimento alla norma, e la conseguente epistemologia del deficit che definisce le differenzecome prodotto di condizioni deficitarie interne alla persona. Allo stesso tempo problematizza le politiche dei servizi ancora orientate dall’idea di una disabilità prigioniera del deficit e di un’immagine che contravviene a tutti i valori abilisti/normativi di corpo, mente e relazione. Ed infine, libera le persone con disabilità da un’ineluttabile sospensione sociale e da un ferma immagine dove la vita viene fissata in uno spazio dedicato (i servizi) e in un tempo infantilizzato, restituendo così una prospettiva temporale evolutiva che comprende anche l’adultità. Tutto ciò non può però essere esercitato se non viene restituita voce al pensiero delle persone con disabilità: non più solo dipendenti e/o solo utenti e/o accuditi ma soggetti produttori anche di futuro e quindi autori di un’elaborazione e di una visione dell’esperienza e della vita. Il riemergere di discorsi e di forme linguistiche ridotte spesso al silenzio non solo danno concretezza alla prospettiva inclusiva e ai percorsi dell’adultità, ma  portano anche una sfida all’egemonia di un linguaggio abile e normativo.

Lo sguardo inclusivo si sposta quindi da una caratterizzazione medico-individuale al protagonismo delle persone con disabilità, alle condizioni disabilitanti, alla presenza di barriere alla partecipazione nel sociale,  nelle istituzioni, nei servizi nonché ai giochi di potere che condizionano tali contesti, evitando, in questo modo, i riferimenti neutri ai sistemi delle relazioni. Da questa breve sintesi, si evidenzia come l’inclusione ha naturalmente riferimenti diversi dall’integrazione in quanto supera la relazione norma-deficit-bisogno, la razionalizzazione dei contesti e l’idea di adattamento/normalizzazione in un insieme di norme e codici comportamentali stabiliti a priori.

Lo sfondo teorico qui delineato è stato assunto come quadro teorico di riferimento e di studio da un ristretto gruppo di ricercatori con un’attenzione particolare sia al versante dei servizi per la disabilità che a quello educativo scolastico: nel primo ambito, la ricerca e l’analisi si sono rivolte ad un’area decisamente importante per la vita delle persone con disabilità e cioè alle politiche  legate all’organizzazione dei servizi (Medeghini R, 2006 a, 2006b) in quanto  ambito significativo e, allo stesso tempo, critico per l’analisi dei processi inclusivi. Nell’ambito educativo e scolastico, l’attenzione è stata posta, fra altre variabili, sui processi di esclusione e disabilitazione in riferimento all’organizzazione scolastica, al piano di studi e all’insegnamento (Medeghini R, 2006c, 2009, Vadalà G., 2009, D’Alessio S., 2011) La prospettiva inclusiva riguarda quindi l’insieme degli spazi di vita e delle politiche che li definiscono e condizionano, ponendo domande immediate agli indirizzi relativi ai servizi, ma anche al pensiero e alle conseguenti progettazioni che li guidano: qual è, ad esempio, il ruolo dei servizi nella costruzione dell’appartenenza sociale? E di conseguenza, quale deve essere la loro natura e in quali forme deve manifestarsi? E ancora, come possono collocarsi all’interno delle linee tracciate dalla Convenzione ONU (2006) sui diritti per le persone con disabilità nelle quali l’adultità è un elemento centrale?

Questi interrogativi  rimandano la riflessione alla possibilità per i servizi e alle politiche che li guidano di uscire dal ruolo di controllo sociale e di conferma della standardizzazione del corso di vita per le persone con disabilità per assumere, assieme ad altre istituzioni e attori sociali, un pensiero, una progettazione e un’organizzazione inclusivi che siano strumento per la costruzione di traiettorie fondanti l’adultità con i suoi sistemi di appartenenza, di partecipazione sociale e di cittadinanza. Inevitabilmente ne consegue una critica alle politiche incrementali svincolate da una visione sociale che, assieme all’attuale clima culturale, fanno propri i modelli epistemologici che ispirano politiche di razionalizzazione e di controllo e non processi di appartenenza e di cittadinanza. Infatti, se l’incremento quantitativo e diversificato dei servizi in base alla gravità, può essere vista da molti come una scelta che dà risposte immediate, sul versante qualitativo tale opzione diventa un ostacolo alla natura sociale dell’esperienza di vita per le persone con disabilità.

Da qui l’interrogativo se le politiche debbano limitarsi all’istituzione dei servizi alla persona oppure debbano assumere un pensiero progettuale che combini l’attenzione alle persone con investimenti sulla comunità. Questa prospettiva richiede alle politiche e alla progettazione di modificare l’approccio fino ad ora utilizzato, passando da proposte che tendono alla razionalizzazione dei servizi (ad esempio attraverso la loro concentrazione territoriale) a proposte che abbiano come presupposto le reti di comunità, permettendo, da una parte, la concretizzazione dei diritti e dall’altra la possibilità per la comunità di riflettere sul proprio ruolo nei processi inclusivi. Gli interrogativi posti alle politiche non coinvolge solo i servizi per la disabilità, ma l’insieme della comunità, delle istituzioni e del sociale: infatti, se le domande ai servizi riguardano il loro ruolo, la loro natura e le forme necessarie alla costruzione di un’identità sociale come viene delineato dalla Convenzione ONU sui diritti per le persone con disabilità,  alla comunità, alle istituzioni e al sociale viene chiesto quali siano le condizioni, le possibilità, le opportunità, i cambiamenti dei contesti in grado di garantire lo spazio per l’esercizio dei diritti, della cittadinanza e della qualità di vita.

L’esercizio della delega viene qui messo i discussione nelle sue diverse forme: quella del sociale che affida ai servizi sanitari e alla loro epistemologia medico-individuale la gestione delle vite che riguardano le persone con disabilità e quella delle politiche che, basandosi su un’interpretazione economicista della sussidiarietà, chiama in causa il sociale. Entrambe le forme sono accomunate da una palese contraddizione: il sociale che, nonostante trovi la sua sostanza nelle interazioni, nei ruoli, nella responsabilità, nei diritti, abdica alle politiche sanitarie e quest’ultime che, mantenendosi sulla peculiarità medico-individuale, esercitano la loro razionalizzazione economica attraverso il richiamo al sociale. Ed è in questa dinamica che si sintetizza l’attuale mandato  ai servizi per la disabilità e la loro natura. È evidente che posizioni di questa natura non possano certo dare risposte inclusive così come non lo può offrire un approccio fondato essenzialmente sul concetto di risorsa senza che questo sia collegato alla conversione di strutture sociali in opportunità di vita, di lavoro, di istruzione, di interessi, di relazioni. A tale proposito, A.Sen (2005) evidenzia la debolezza di tale approccio, prendendo in esame due forme di disabilitazione  economica:

[…] È molto importante distinguere due tipi di handicap che tendono ad accompagnare la disabilità e che potremmo chiamare handicap del guadagnoe handicap della conversione. Se per un disabile è più difficile trovare un posto di lavoro e conservarlo, se riceve un minor  compenso, tale handicap del guadagno […] è soltanto una parte del problema […]L’handicap della conversionesi riferisce al suo svantaggio nel convertire il denaro in una vita decente […]. Proprio il motivo che gli rende più difficile guadagnare un reddito, gli rende anche più difficile convertire il reddito nella libertà di vivere decentemente […]. Inoltre alcuni dei fattori essenziali per una vita decente non vengono dal reddito personale, ma da organismi per la pubblica istruzione e da altre strutture della società civile. In molti Paesi in via di sviluppo i bambini disabili, per esempio sordi o costretti su una sedia a rotelle, non hanno praticamente accesso alle scuole elementari che sono prive delle attrezzature necessarie e di insegnanti con un’apposita formazione. Si stima che fra i 100 milioni e più bambini del mondo che non vanno a scuola, 40 milioni circa sono in qualche modo disabili[2]. Perciò l’handicap della conversioneriguarda non soltanto la conversione del reddito personale in una vita decente, ma anche la conversione di strutture sociali in opportunità davvero fruibili.Va anche notata l’esistenza di atteggiamenti discriminatori verso i disabili fisici o mentali, un fatto concreto che impone loro un handicap della conversione. E a tale avversità, si aggiunge la possibilità di maltrattamenti […] Se si basa sul solo handicap del guadagno, insomma, una teoria della giustizia non è in grado di misurarsi con le più fondamentali esigenze di giustizia[…]».

Le sottolineatura di Sen evidenziano non solo il ruolo che le politiche, le istituzioni, i servizi e il sociale hanno nella costruzione dei processi generali di coesione e/o di espulsione sociale, ma anche il peso e l’incidenza delle loro forme culturali, organizzative e di progettazione attraverso le quali si possono o meno definire le appartenenze o le marginalizzazioni, le cittadinanze o l’esclusione o l’istituzionalizzazione. Se si volessero evidenziare sinteticamente alcuni presupposti per un percorso inclusivo delle politiche e dei servizi, si potrebbe fare riferimento ai seguenti ambiti:

Lo sfondo concettuale e culturale

  • La prospettiva temporale evolutiva, superando il modello medico individuale, rappresenta il presupposto dell’adultità e di un progetto di vita che richiede alle politiche e ai servizi di misurarsi con la dimensione spaziale (natura, funzione), con lo scorrere del tempo nella persona (giovane, adulto, anziano) e col cambiamento che ciò comporta in termini di percezione di sé, di aspettative, di richieste e di azioni
  • Le capacità e le possibilità di azione e di sceltadelle persone rappresentano il riferimento culturale di un servizio e lo sfondo che guida il superamento delle barriere alla partecipazione: sta in questa dimensione il presupposto della cittadinanza come condizione per la socialità. In tale prospettiva si definisce la centralità del restituire vocealle persone con disabilità che non si limita al riconoscere, ma si orienta anche all’affermazione di un’identità come campo dinamico nel quale si attivano traiettorie e significati.

Le politiche e i servizi

  • L’inclusione interroga le politiche e i servizi per la disabilità sulla loro natura: quali epistemologie li ispirano, dove si collocano culturalmente, dove si situano concettualmente i servizi rispetto al sociale e a chi si rivolgono? Le domande poste permettono di uscire da un indifferenziato concettuale(Medeghini R., 2006) che occulta i diversi posizionamenti teorici in un insieme indifferenziato di idee e di azioni condivise su impliciti non problematizzati. Inoltre, gli interrogativi portano allo scoperto la debolezza della dicotomia fondata su un dentro(i servizi)e su un fuori(il sociale, le istituzioni…) che ispira l’organizzazione, la progettazione e la natura stessa dei servizi.
  • La prospettiva inclusiva, nella sua caratterizzazione evolutiva e sociale, richiede di sfidare il pensiero dei servizi, la progettazione, l’azione e la valutazione sul versante dell’innovazione: ciò non significa negare competenze costruite, ma rileggerle e problematizzarle alla luce della prospettiva evolutiva e sociale al fine di costruire percorsi in grado di sostenere la richiesta di un nuovo protagonismo delle persone con disabilità che non sia limitato alle rivendicazioni, ma dia concretezza ai Diritti oggetto della Convenzione ONU del 2006.
  • Ne consegue che le progettazioni e le azioni educative inclusive richiedono di collocarsi in una situazione di ricerca, cioè di esplorazione delle condizioni, dei vincoli e delle potenzialità, degli imprevisti, della messa in prova delle decisioni in uno sfondo di relazioni contestualizzate. In tal modo, si costruisce l’incontro di una pluralità di soggetti (es. educatori, famiglie) i quali si trovano assieme ad indagare, mettere a fuoco, gestire, problematizzare i processi e fare delle scelte. In questo modo diventa possibile l’integrazione fra progettazione, ricerca ed obiettivi in quanto questi ultimi non si presentano chiusi in sé, ma connessi ai contesti e ai processi che in essi si attivano.

Le famiglie

  • Nello sfondo inclusivo, il riferimento alla famiglia viene rivisto e riproposto come uno dei nodi della rete sociale. Infatti, pur riconoscendo alla famiglia un ruolo importante, la prospettiva inclusiva non isola questo microsistema dagli altri, ma lo pensa nelle diverse relazioni a tal punto da proporre un potenziamento di queste ultime. Questo approccio si distingue dalle attuali politiche che, fondandosi su un’epistemologia individualista, si rivolgono alle famiglie senza leggerne e interpretarne i problemi alla luce delle possibilità, opportunità e qualità dei sistemi relazionali sociali, esponendole così ai rischi di una condizione di solitudine e di abbandono. Ma non solo; la visione della disabilità come problema individuale costringe la persona con disabilità ad avere l’unico riferimento nella famiglia o nei servizi, amplificando così la possibilità di un isolamento che coinvolge entrambe le parti. L’inclusione cerca invece di costruire un sistema qualitativo di rete che non isola i singoli nodi del sociale, ma investe sulla costruzione, mantenimento e potenziamento delle loro relazioni, azioni e interazioni in quanto generatrici di possibilità.

… Assieme alla caratterizzazione dell’Inclusione nella prospettiva dei Disability Studies e alle ricadute che essa ha sulle riflessioni riguardanti la disabilità e dei servizi, si propone sia il superamento delle politiche basate sulla standardizzazione del corso di vita delle persone con disabilità in quanto fattore causale della standardizzazione dei servizi sia l’idea di serviziocome luogo privilegiato e funzionalmente dedicato alle persone con disabilità in quanto elemento fondante di un’identità distante dal sociale. Utilizzando la prospettiva inclusiva, viene delineata l’uscita da questo vincolo epistemologico e dalla conseguente dicotomia dentro/fuori, proponendo l’idea di servizio come territorio passando da un concetto di rete burocratica e tecnica ad una rete ricca di contesti e persone che, assieme, permettono al servizio di uscire   dall’autoreferenzialità per assumere invece la dimensione di nodo della rete. In tale prospettiva, il servizio diventa uno dei riferimenti e il progetto di vita rappresenta  il terreno sul quale concorrono più attori e, fra essi, le persone con disabilità e le loro famiglie. Sempre in relazione ai luoghi in cui si trova  e a quelli di provenienza delle persone con disabilità. È in questa dimensione che si produce una modificazione delle politiche, dell’organizzazione dei servizi, delle  prospettive educative e della progettazione, assieme ad un riposizionamento del ruolo di educatore, superando così l’egemonia di una  rappresentazione sostitutiva eimmunizzantedel servizio per le persone con disabilità.