Introduzione scuola

Nonostante numerose pubblicazioni di testi e di articoli italiani e internazionali, l’Inclusione viene assimilata all’integrazione se non all’inserimento. Diverse sono le cause: letture acritiche, letture limitate a pubblicazioni solo italiane, formazioni e insegnamenti vaghi o elusivi sui paradigmi, ma la causa principale è l’assunzione e l’adesione alla cultura del paradigma bio-medico individuale e, di conseguenza, alla definizione della disabilità e dei Bisogni Educativi Speciali come differenza deficitarie.

Il termine inclusionelo si ritrova nei convegni, nel linguaggio pedagogico, nelle circolari ministeriali, nei progetti finalizzati all’integrazione delle persone con disabilità all’interno del sociale e delle istituzioni educative. Sembra, quindi, che le resistenze iniziali ad assumere tale forma lessicale, rilevabili soprattutto nell’ambito scolastico italiano, siano venute meno e che, quindi, ci sia uno sfondo comune che ne accompagna l’utilizzo. Una riflessione più attenta sottolinea, però, che nonostante l’apparente convergenza anche della politica e della legislazione internazionale, la definizione e il significato dell’inclusione e dell’istruzione inclusiva è ancora oggetto di un forte dibattito e di un’evidente difficoltà nel definire le migliori pratiche inclusive (Slee, 2001).

L’impiego dello stesso termine non corrisponde, infatti, ad un’identità teorica e di prospettiva, anzi evidenzia interpretazioni differenti e sovrapposizioni semantiche incongruenti che incrementano le ambiguità e le contraddizioni. In Italia ed a livello internazionale, ne sono esempio le assimilazioni fra i termini di inserimento e integrazione, di integrazione e inclusione dove i significati si mescolano in un indifferenziato concettuale.

Un’omogenea definizione dell’inclusione risulta, quindi, difficoltosa e non è un caso che molti discorsi omettano una definizione esplicita, lasciando il lettore o l’ascoltatore a dedurre i significati che vengono dati per se stessi (Ainscow et al., 2006): ne conseguono discorsi generici, letture e interpretazioni diverse, radici culturali e teoriche lasciate nell’implicito. L’emergere di un lessico elusivo amplifica parole vane, tentativi di mediazione fra significati che esitano in contraddizioni, semplificazioni e riduzioni, svuotando e limitando il potenziale semantico dell’inclusione con l’esito di un’omologazione. Nonostante numerose pubblicazioni di testi e di articoli italiani e internazionali, infatti, l’Inclusione viene assimilata da significati diversi. Diverse sono le cause: letture acritiche, letture limitate a pubblicazioni solo italiane, formazioni e insegnamenti vaghi o elusivi sui paradigmi, ma la causa principale è l’assunzione e l’adesione alla cultura del paradigma bio-medico individuale e, di conseguenza, alla definizione della disabilità e dei Bisogni Educativi Speciali come differenza deficitarie.

Le considerazioni ora proposte richiedono uno scavoorientato a reperire e descrivere i diversi tipi di discorso per far emergere riferimenti teorici e posizionamenti. Senza questo, il confronto diventa impossibile nell’ambito accademico, nelle istituzioni come, ad esempio, la scuola, e nello spazio sociale dove i diversi significati normalizzano la prospettiva inclusiva.

Come si può osservare, le parole, sia nella loro elusività che nelle differenze, non sono mai solo parole, ma dispositivi culturali dove il consenso e l’adesione al campo semantico permette l’esercizio di un potere che sovrasta gli altri significati. Il linguaggio non è quindi un sistema di segni con significati fissati, immutabili, omogenei, ma un luogo instabile ed esposto alla coesistenza di significati fra loro differenti dove si disputa la gestione del potere delle parole. In questo scenario linguistico, la parola inclusione, assieme alla disabilità, è un esempio paradigmatico delle derive, degli slittamenti lessicali e semantici, delle etichettature, dei tentativi di ridenominazione, delle dispute fra teorie.