Inclusione – Presentazione

Il termine inclusione lo si ritrova nei convegni, nelle circolari ministeriali, nei progetti finalizzati all’integrazione delle persone con disabilità all’interno del sociale e delle istituzioni educative: sembra quindi che ci sia uno sfondo comune che ne accompagna l’utilizzo. Una riflessione più attenta porta però a sottolineare come l’impiego dello stesso termine non corrisponda ad una identità teorica e di prospettiva: infatti si delineano differenze e accentuazioni diversificate per quanto riguarda sia la dimensione concettuale dell’inclusione sia le sue forme attuative. Per questo diventa necessario evidenziare i diversi riferimento teorici e di ricerca allo scopo di evitare il rischio che l’inclusione, come è avvenuto per l’integrazione, diventi un concetto concettualmente indifferenziato.

Allora, cos’è l’inclusione e quale paradigma assume soprattutto in riferimento alla disabilità? Seguendo la prospettiva dei Disability Studies[1]e gli studi italiani di questi ultimi anni (Medeghini, 2005; 2006 b; 2013; Medeghini  e Valtellina 2006 a; D’Alessio, 2007; 2013; Vadalà, 2009; 2013) si potrebbe utilizzare questa breve sintesi introduttiva che delinea le caratteristiche rilevanti dell’ Inclusione. L’inclusione,

  1. si rivolge a tutte le differenze senza che queste siano definite da categorie e da criteri deficitari, ma pensate come modi personali di porsi nelle diverse relazioni e interazioni (sociali, scolastiche, educative, istituzionali);
  2. si riferisce a tutte le persone e non a gruppi particolari come nel caso dell’integrazione;
  3. tende a superare ogni forma di discriminazione e di esclusione sociale, istituzionale ed educativa;
  4. richiede un cambiamento del sistema culturale e sociale esistente per permettere la partecipazione attiva e piena di tutti;
  5. contrasta i processi di omogeneizzazione, creando le condizioni per la libera scelta ed espressione di tutti;
  6. costruisce contesti inclusivi in grado di rispondere alle differenze di tutti, eliminando le barriere sociali, culturali, economiche e istituzionali disabilitanti;
  7. richiede inoltre di superare l’egemonia di un linguaggio «abilista» e «normativo», restituendo la voce al pensiero delle persone con disabilità e alla loro azione;
  8. colloca la sua riflessione e il suo processo all’interno dei giochi di potere e della governamentalità (M. Foucault, 1999), togliendo i sistemi delle relazione dal rischio della neutralità e della genericità;
  9. richiede di esplicitare i riferimenti teorici delle enunciazioni dei Diritti per le Persone con Disabilità per evitare ambiguità interpretative.

Da queste premesse consegue che l’Inclusione non assume il deficit come fattore interno alla persona e come causa del non funzionamento, ma lo colloca all’interno dei processi disabilitanti prodotti da contesti, saperi disciplinari, organizzazioni e politiche incapaci a fornire una risposta adeguata alle differenze delle persone.  Come si può osservare, l’Inclusione è un processo che problematizza gli aspetti della vita sociale, delle istituzioni e delle politiche: per questa sua complessità, si presenta come un processo dinamico, instabile, in continua costruzione, in quanto l’essere inclusinon è vincolato a un ruolo prescrittivo, a una norma o a una costrizione , ma implica una continua strutturazione e destrutturazione delle organizzazioni e dei contesti istituzionali e sociali e un’attenzione che dà voce a chi li abita e li vive (Medeghini R., Simona D’Alessio, Giuseppe Vadalà, 2013, p.197).

[1]I Disability Studies si sono sviluppati negli ultimi trent’anni in ambito prevalentemente angloamericano e nord europeo. I DS pur all’interno di un’ampia differenziazione condividono però una trama comune che comprende il rifiuto del modello medico-individuale come fondamento delle concettualizzazione relative al deficit e alla disabilità, una finalità di emancipazione e autoaffermazione sociali per le persone con disabilità, un approccio critico in relazione al linguaggio e alle pratiche sociali ed educative dell’esclusione.