Robert F.Murphy
Murphy, era al culmine di una brillante carriera accademica da antropologo culturale, quando un tumore spinale lo rese claudicante prima, poi paraplegico e quindi tetraplegico, determinando una frattura fra un “prima” nell’abilità e un “dopo” nella disabilità. Nel libro, Murphy avvia una ricerca sul divenire disabile attraverso un’osservazione antropologica di se stesso in un progressivo degrado del proprio corpo che definisce l’inacessibilità al mondo, alle cose, agli spazi sociali e agli sguardi degli altri. Nella vita del “dopo”, Murphy affronta codici sconosciuti propri dell’ospedalizzazione e della riabilitazione: il passaggio del corpo da soggetto di vita ad oggetto, il ruolo di malato, di disabile in una sospensione dei ruoli e degli obblighi sociali che portano con sé anche un obbligo: quello di produrre ogni sforzo per guarire che, se viene meno, produce un senso di colpa e la responsabilità dell’esito. In questa condizione, il disabile si trova in una condizione liminale, di vita sospesa nell’essere contemporaneamente non sano e non malato, né incapace né pienamente vitale. Murphy affronta, quindi, i cambiamenti tra il “prima” e il “dopo” in riferimento all’autostima ridotta, all’invasione del deficit fisico, alla forte sensazione di rabbia e all’acquisizione di una nuova, totale e indesiderabile identità.
Le esperienze progressive della disabilità coinvolgono così percezioni soggettive come la rabbia esistenziale che si riduce ad un’amarezza pervasiva e ad una ribellione per la propria condizione che porta all’alcolismo e al pensiero del suicidio: un sentimento, questo, generato dall’inconscio di colpa e vergogna. Parallelamente, affiora una rabbia situazionale che nasce dalla difficoltà e dalla frustrazione nell’affrontare la gestione delle situazioni quotidiane. Inoltre, emerge l’estraneità del corpo verso la quale si orienta l’esperienza di Murphy: allontanamento o estraniazione dal proprio corpo vissuto (disembodiment) divengono forme di alienazione e di radicale dissociazione, lasciando alla razionalità, al pensiero l’unica possibilità per afferrare il mondo e per gestire l’esistenza.
Quale ricaduta sull’oggi? Il libro è stato pubblicato nel 1990: in ambito italiano sono stati pubblicati alcuni estratti nel testo Quale Disabilità (Medeghini e Valtellina, 2006). Data la distanza del tempo si potrebbe affermare che il libro non sia attuale, ma il clima culturale dell’oggi disconferma l’affermazione. Certamente c’è una maggior attenzione verso le persone con disabilità, approcci bio-psico-sociali, leggi di tutela e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, maggiori servizi, l’integrazione scolastica, ma la cultura della disabilità è ancora fondata sul deficit, sull’incapacità, sulla dipendenza e sulla compensazione che determinano discriminazione e esclusione. L’antropologia della disabilità proposta da Murphy rende centrale l’esperienza e l’azione della cultura nella costruzione della disabilità tanto da sentirsi straniero verso una cultura che cristallizza e acquieta i pensieri:
“[…] Liberarsi dai vincoli oppressivi della cultura è l’atto necessario per riconquistare un senso, rispetto a chi siamo e dove siamo. È in questo modo che il paralitico e tutti noi troveremo libertà nello spazio della mente e negli slanci dell’immaginazione ”. E, questo, assieme alle tante riflessioni, è ciò che ci lascia The Body Silent.